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Burro o margarina ? La scelta che cambia il gusto

Burro, margarina e dolci delle feste: prezzi alle stelle anche dopo Natale 

L’aumento dei prezzi di burro e margarina non si è fermato neanche dopo le festività natalizie, e le conseguenze si fanno sentire su tutta la filiera alimentare, dalla cucina domestica alla pasticceria professionale. I consumatori, già provati dai rincari sui pandori e panettoni durante il Natale, si trovano ora a fare i conti con costi sempre più alti anche per i prodotti quotidiani.

Il burro, da sempre considerato un ingrediente di qualità superiore per la pasticceria, è stato il primo a subire i rincari, con un impatto diretto sul costo finale dei prodotti. Di fronte a questa situazione, molte pasticcerie hanno dovuto compiere scelte difficili: mantenere il burro nei propri prodotti, accettando un aumento dei prezzi per i clienti, o optare per la margarina, un’alternativa più economica ma con un impatto significativo sul gusto e sulla consistenza.

La margarina, infatti, offre una maggiore stabilità nei costi e una resa più economica, ma il suo utilizzo può alterare il sapore finale dei dolci, rendendoli meno ricchi e aromatici. Questa decisione, pur necessaria per molti laboratori artigianali, ha suscitato il malcontento di alcuni clienti più attenti alla qualità. Tuttavia, altre pasticcerie hanno scelto di mantenere il burro come ingrediente principale, assumendosi il rischio di vendere prodotti a prezzi più elevati per non compromettere la loro identità di qualità.

Anche aziende come Mangify, specializzate nella selezione e distribuzione di prodotti alimentari, si trovano a dover affrontare nuove difficoltà. La necessità di essere ancora più precise nella scelta dei fornitori e degli ingredienti si scontra con un mercato sempre più imprevedibile. Mangify deve bilanciare il desiderio di offrire prodotti di qualità con la sostenibilità economica per i propri clienti.

Questa situazione complessa sta spingendo l’azienda a rivalutare le proprie strategie, cercando di identificare fornitori affidabili che possano garantire qualità costante a costi competitivi, senza scendere a compromessi sul gusto e la soddisfazione del consumatore finale.

I rincari non hanno risparmiato neanche i dolci simbolo delle festività. Durante il Natale 2024, il prezzo di pandori e panettoni è aumentato fino al 20%, costringendo molti consumatori a rivedere le loro scelte. Anche dopo le feste, le scorte residue, che di solito venivano vendute a prezzi ribassati, quest’anno risultano meno convenienti.

Con i prezzi di burro e margarina destinati a rimanere alti almeno per i prossimi mesi, il settore alimentare si trova di fronte a una sfida che richiede soluzioni innovative. Pasticcerie, distributori e consumatori sono chiamati a trovare un nuovo equilibrio tra qualità, gusto e sostenibilità economica

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Aumenti generali nel settore alimentare

Gli Aumenti nel Settore Alimentare: Una Sfida per Produttori, Consumatori e il Mercato Dolciario

Negli ultimi anni, il settore alimentare ha subito una serie di trasformazioni significative, causate principalmente dagli aumenti di prezzo che hanno disorientato produttori e consumatori. Le dinamiche di mercato si sono complicate, mettendo a dura prova la stabilità economica di molte aziende e famiglie italiane.

Mangify, una realtà consolidata nella distribuzione dolciaria da cinque anni, è un esempio emblematico di come il mercato sia stato colpito da queste fluttuazioni. Dal 2020, i prezzi dei prodotti di pasticceria hanno subito aumenti costanti, che inizialmente potevano sembrare modesti – come un incremento di 5 centesimi – ma che, moltiplicandosi ogni tre mesi dal 2020 al 2022, hanno creato grande incertezza tra produttori e consumatori.

Un 2023 di Breve Stabilità e Nuove Sfide

Dopo due anni di rincari regolari, il 2023 sembrava offrire una tregua: i prezzi si sono stabilizzati, permettendo a molte aziende di tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, questa calma apparente è stata spezzata negli ultimi mesi dell’anno, proprio sotto le festività natalizie, con nuovi aumenti significativi:

Dal 1° novembre, i prezzi di diversi prodotti dolciari hanno subito un ulteriore incremento.

Dal 1° dicembre, l’aumento si è esteso anche ai prodotti tipici delle festività, come pandori e panettoni, con un rincaro del 20%.

L’impatto di questi aumenti si è fatto sentire soprattutto sulle vendite natalizie, che hanno registrato un lieve calo rispetto agli anni precedenti. Nonostante la qualità dei prodotti e l’impegno delle aziende nel mantenere un rapporto diretto con i clienti, il peso economico per i consumatori è diventato evidente.

Una Prospettiva per il 2025: Incertezze e Timori

Con l’arrivo del 2025, le domande sul futuro del mercato alimentare si fanno sempre più pressanti:

1. Ci saranno nuovi aumenti?
Le dinamiche globali – tra crisi energetiche, inflazione e instabilità economica – fanno presagire che ulteriori rincari potrebbero essere inevitabili.

2. Quale sarà l’impatto sui consumatori?
Con gli stipendi che rimangono invariati, molte famiglie italiane stanno già affrontando difficoltà crescenti nel sostenere il costo della vita. I beni alimentari, che rappresentano una voce essenziale del bilancio familiare, rischiano di diventare un lusso per molti.

3. Quale sarà la risposta del mercato?
I produttori, da parte loro, stanno cercando di bilanciare l’esigenza di mantenere prezzi competitivi con la necessità di garantire margini di profitto. Tuttavia, il ricorso a sconti del 5-20%, come accaduto negli ultimi anni, non sempre è sufficiente per sostenere le vendite in un contesto di continuo aumento dei costi di produzione.

Visitando personalmente i supermercati, emerge un quadro chiaro: i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti sensibilmente rispetto all’anno precedente. Gli aumenti si riflettono non solo nei prodotti dolciari, ma in tutto il comparto alimentare, aumentando il divario tra ciò che le famiglie possono permettersi e ciò di cui avrebbero realmente bisogno.

Le prospettive per il 2025 rimangono incerte. Per aziende come Mangify, la sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra sostenibilità economica e accessibilità per i consumatori. Per le famiglie italiane, invece, la domanda cruciale è: come andare avanti se gli stipendi rimangono invariati e i prezzi continuano a salire?

Nel lungo periodo, sarà fondamentale che istituzioni, produttori e distributori collaborino per affrontare questa crisi. Solo così si potrà garantire un mercato più equo e sostenibile, che rispetti le esigenze di tutti gli attori coinvolti.

Il settore alimentare, e in particolare quello dolciario, si trova di fronte a un bivio. Il 2025 sarà un anno decisivo per determinare le sorti di questo mercato, ma la strada da percorrere non sarà priva di ostacoli. L’unica certezza è che produttori, distributori e consumatori dovranno affrontare insieme queste sfide, cercando soluzioni che possano garantire un futuro più stabile e accessibile per tutti.

 

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Pistacchio : moda passeggera, o eccellenza duratura ?

Non c’è dubbio il motivo per cui mi sono spinta a fare questo articolo e a fare delle ricerche sul pistacchio è solo il mio profondo amore per questo frutto. La mia non è il seguire una moda, ma è una vera dipendenza fin da piccola partendo dalla merenda con gelato: il pistacchio era il mio gusto preferito.

Con il tempo poi uno cresce e inizia ad affinare le esigenze la bustina di pistacchi per una merenda, la granella di pistacchio nei primi piatti, il pesto di pistacchio nei secondi piatti usato al posto della maionese, e nei panini mordi e fuggi , la crema spalmabile nelle brioches, sono ormai presenza costante.

Senza ombra di dubbio non solo a casa mia iniziava ad entrare questo frutto in ogni sua essenza, ma nelle case di tanti italiani diventando sotto tanti punti di vista, un prodotto leader nel settore food e dolciario.

In Italia quello più conosciuto è quello di Bronte coltivato nelle pendici dell’Etna, nella nostra bella Sicilia, riconosciuto anche come prodotto DOP (Denominazione di origine protetta). Attenzione però: per essere sicuri che sia veramente di Bronte bisogna controllare l’etichetta: se c’è la dicitura “Pistacchio Verde di Bronte DOP “ andiamo sul sicuro. La presenza del Pistacchio di Bronte sminuisce però un’altra regione che produce dell’ottimo pistacchio in Italia, ovvero Stigliano in Basilicata. Qui la produzione ha un inizio molto più recente, risale agli anni 90, ma questo non vuol dire che non sia di ottima qualità.

Ho voluto approfondire per capire se fosse moda oppure un’ eccellenza duratura, difficile prevedere, negli anni ho visto costruire dei veri e propri business dietro a realtà che poi col tempo sono sparite, perchè nel mercato arrivano sempre idee nuove, quindi solo il tempo ci racconterà cosa succederà a questo incredibile frutto.

Nelle mie ricerche ho appurato che di recente il pistacchio è diventato una vera e propria icona del food.

Dai gelati alle creme spalmabili, passando per dolci, drink e persino piatti salati,  ma è davvero una moda passeggera o il pistacchio si sta consolidando come uno dei gusti preferiti da molti ?

Inutile negare che il pistacchio sia ai vertici delle classifiche nel panorama gastronomico e che sia oggi un prodotto di punta per molte aziende, diventando così il prodotto “civetta“. Mi piace però sottolineare che i consumatori sono esigenti e si accorgono molto velocemente se li stai ingannando, perchè a volte il troppo business può far cadere una stella.

Come ogni cosa che raggiunge  popolarità,  il rischio è che si abusi del pistacchio. Non tutti i prodotti al pistacchio contengono infatti una quantità significativa del frutto, e spesso aromi artificiali ne alterano il gusto. Questo potrebbe portare a una saturazione del mercato, allontanando i consumatori più attenti.

Una cosa però va detta: nonostante la paura del trend passeggero, il pistacchio ha conquistato tutto il mondo inserendosi in ricette tradizionali, grazie alla sua versatilità in ogni piatto, dall’antipasto ai primi piatti, secondi piatti di carne e pesce, diventando un leader in assoluto nei dolci, senza dimenticare che è ricco di proprietà benefiche, come vitamine, minerali e grassi sani.

Un gusto destinato a restare? Assolutamente si, oggi vive di popolarità, ma il suo successo è radicato in qualità reali, con un sapore unico, una storia antica e una capacità di adattarsi in ogni contesto. Mi piace pensare che rimarrà nel tempo e che continuerà ad essere un’eccellenza italiana conosciuta in tutto il mondo.

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Prodotto artiginale cosa significa

Mi sono chiesta spesso come mai la parola artigianale fosse così usata nel mondo del food & beverage: ogni cosa che riguarda il cibo è artigianale. Anche io nel mio disco vendita inserisco la parola artigianale in ogni mia frase, con lo scopo di dare valore aggiunto a quel prodotto che sto vendendo. Soprattutto se ho pochi minuti per convincere il cliente che quel prodotto vale la pena di essere acquistato.

Partiamo dal presupposto che, se decido di vendere un prodotto, la prima ad essere convinta sono io, perché il prodotto l’ho studiato, ho contatti diretti con l’azienda che mi ha raccontato la sua storia, la sua filosofia, come il prodotto viene concepito e prodotto o e solo dopo l’assaggio se mi piace, lo inserisco nel mio catalogo.

Quando si ha un’azienda come la mia, l’approccio con il cliente è delicato, primo perchè hai prodotti di medio/alta qualità, poi perchè la concorrenza è come un falco in attesa della sua preda, infine il servizio e i tempi di consegna sono fondamentali.

Per questo per me è fondamentale far capire al cliente in quei tre minuti che il mio prodotto vale, ma soprattutto è artigianale.

Ma cosa vuol dire artigianale davvero?

Secondo me, è la parola che racchiude il significato di qualità, fatto a mano, genuino, fatto con ricette tradizionali, prodotto con ingredienti di qualità, prodotto a mano, prodotto da micro aziende, insomma in una parola racchiudo tanti spunti per il cliente, per potersi fidare del prodotto che gli sto proponendo.

Ma perchè adesso tutto è artigianale, ma poi sarà veramente artigianale?

Ho deciso quindi di fare ricerche piu’ approfondite sull’argomento per capire cosa potesse sfuggirmi.

Come pensavo la parola artigianale significa prodotto a mano senza aiuto di macchinari, produzione limitata, prodotto unico a volte simile ma non identico all’altro simile, aggiungendo le mie osservazioni fatte sopra.

In Italia pero’ nel mondo del food & beverage non essendoci una vera classificazione, si è liberi di dare a quello che si produce la denominazione  artigianale in maniera approssimativa.

Per questo la parola artigianale spopola ovunque senza nemmeno dare una  vera classificazione, perdendo secondo me un pò il valore di quello che realmente di buono e veramente artigianale c’è, e rendendo il consumatore diffidente. Sarà davvero artigianale come dicono?

I produttori italiani si battono tanto per far conoscere il prodotto made in Italy, e sul far riconoscere che l’Italia vanta veramente delle eccellenze, talvolta pero’ usando a sproposito una parola che secondo me potrebbe dare veramente quel punto in più ai nostri prodotti.

Mi piacerebbe che queste mie righe fossero uno spunto di riflessione  per imprenditori italiani a voler essere riconosciuti veramente come produttori artigianali, e non come una parola messa ovunque nelle insegne di ogni attività commerciale per attirare l’attenzione o vendere di più.

Una cosa volevo dirla però, se in Italia non c’è una vera identificazione per il food, sappiate invece che l’unico prodotto in Italia definibile veramente artigianale è la birra, a patto che non superi i 200.000 ettolitri di produzione annua e che sia non pastorizzata ne filtrata.

Spero queste parole vi aiutino a riflettere e a essere più critici e osservatori su quello che mangiamo, aspetto le vostre riflessioni e commenti.

 

Buona Lettura

 

 

 

 

 

 

 

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SMART WORKING

Se è vero che all’inizio lo smart working poteva essere un’opportunità sia per i lavoratori che per le aziende, è altrettanto vero la realtà è ben diversa in molti casi.A volte sembra che si voglia  semplificare la discussione con frasi  tipo “lo smart-working potrebbeessere la soluzione anche per il futuro “, “ più vicino alla famiglia si riescono a gestire meglio le problematiche, come ad esempio i figli” , “abbiamo notato in poche settimane più produttività da parte dei lavoratori”.

Molteplici sono le riflessioni fatte un po’ da tutti, lavoratori e datori di lavoro, se non che questo paradiso idilliaco sembra poi sfumare quando, passati 60 giorni in casa, si iniziano a rompere gli equilibri tra marito e moglie, o tra coinquilini, e i problemi vengono amplificati quando ci sono figli piccoli da gestire che sono iperattivi e si abituano ad avere la tua attenzione continua.

Vogliamo parlare delle conferenze on-line, interrotte a metà per la linea che va e viene, uno interrompe l’altro, si parla tutti insieme?  Gestire le telefonate quando uno parla da una stanza e l’altro nell’altra, o mentre i figli fanno lezione online?Per non parlare del fatto che lo smart-working porta a lavorare anche tutti i giorni senza orario e senza limiti.Quante volte mi è capitato di inviare una mail a un fornitore di domenica e ricevere poco dopo una telefonata, o gestire messaggi su whatsapp di clienti il giorno di Pasqua.Le situazioni di emergenza si gestiscono sempre, ma le amplificazioni e lo stravolgimento che ci ha portato  il covid-19, dove ci porterà?Vogliamo davvero dare il potere ad un virus di cambiare radicalmente la nostra vita ?

Sono certa che qualcosa cambierà,  è inevitabile, questo nemico invisibile ci ha messo in ginocchio, e di conseguenza per sopravvivere, dobbiamo adeguarci e risollevarci. La situazione è alquanto drammatica, è inutile creare illusioni, ma sono anche certa che prima o poi tutto questo finirà. La mia domanda, a parte il danno economico, sicuramente di primaria importanza, resta: quanto impatterà psicologicamente questo periodo su ognuno di noi? Quanto a lungo ne porteremo le cicatrici?

Ho posto questa domanda alla dottoressa Chiara Morini che oltre alla libera professione gestisce il suo blog trattando svariati argomenti, uno tra questi il covid-19. Il coronavirus è entrato nelle nostre case senza chiedere il permesso con tutta l’arroganza di un nemico invisibile e, per questo, ancora più pericoloso.Ha risvegliato il timore del contagio e dell’infezione.Ci ha obbligato a cambiare radicalmente abitudini limitando le nostre uscite, la nostra libertà di movimento ed espressiva, tenendoci lontano dai nostri cari. Siamo rimasti scioccati e increduli.Abbiamo dovuto imparare nuovi modi di comunicare, “collegarci” con gli altri, lavorare, studiare, intrattenerci.E’ certo che l’impatto è forte e sarà duraturo.Il tempo di ripresa dipende in parte da noi, come sempre. Da come elaboriamo la ferita e quindi ripartiamo. Non c’è vera ripartenza se si scappa dalla sofferenza. In psicologia è stato definito come il paradosso della sofferenza: se faccio di tutto per fuggire da quello che provo va a finire che soffro di più che se avessi accettato di stare in quell’emozioni. Quindi stare a non scappare, solo così poi si riparte! Con rinnovata fiducia e speranza, fieri della cicatrici che non indicano solo il taglio ma anche la guarigione.

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Made in Italy

Mangify nasce per dare valore alle piccole imprese che producono prodotti italiani al 100%, e non solo nasce per dare spazio a quelle piccole attività che hanno bisogno di visibilità, perchè normalmente  non hanno nè il tempo e nemmeno l’organico per poter essere ancora più presenti  nel mercato italiano se non quello locale.

La vita dei piccoli imprenditori è legata spesso da una passione per il prodotto, e nel tramandare di generazione in generazione il segreto per produrre un prodotto d’eccellenza.

Il bello delle piccole aziende è proprio questo, rafforzare le radici dell’azienda tramite le generazioni, continuando la tradizione a volte  avvalendosi delle nuove tecnologie senza stravolgere le ricette originali, arricchendo il panorama dei prodotti italiani.

Scriverei pagine intere continuando a esaltare i prodotti italiani, perché quando hai un progetto in testa, e lo devi realizzare, le vere fondamenta sono la sicurezza di ciò che vuoi e non vuoi, a prescindere da quello che pensano gli altri.

“Non sei nessuno”, ”ma tanto c’è Amazon”, “io su internet non compero”, ma quando l’idea è buona, e hai la  forza per poter argomentare la scelta e spiegare il prodotto, quello che dicono gli altri per te non conta.

Mangify è nata un anno fa, di strada ne abbiamo da fare veramente tanta, a piccoli passi ci prendiamo i nostri spazi, e cerchiamo ogni giorno di far valere le nostre idee e i nostri valori.

Ora, nel mezzo di questa pandemia da COVID-19 dove l’economia del paese è in bilico, c’è bisogno di chiarezza.

Non ci sono dubbi: le aziende devono tornare a lavorare, e i nostri prodotti devono continuare ad essere presenti anche all’estero, portare avanti la filiera del  made in Italy è importante perché crea credibilità negli altri paesi, e soprattutto possibilità di  business per tutta la filiera coinvolta.

Ma veniamo al punto: come mai solo adesso tra radio, televisione, social, non si fa altro sostenere fortemente quasi in tono perentorio  “comprate il made in italy”,  “non dimenticatevi delle aziende italiane“, per non parlare della politica e di tutti gli incentivi che solo ora saltano fuori, per lo meno narrati, per aiutare le aziende italiane comprando il made in Italy.

Non ci sono dubbi  che il Made in Italy vada valorizzato, ma non perché è arrivato il COVID-19 e l’economia italiana è in crisi , ma perché a prescindere dalla pandemia noi produciamo prodotti di qualità a 360 gradi, ed è per questo che siamo conosciuti anche all’estero.

Mangify  è un anno che dice acquistate prodotti italiani, e nel suo piccolo da spazio e valore a ogni azienda. Le aziende c’erano anche prima del COVID-19, non sono nate adesso, e da sempre producono seguendo regole igienico-sanitarie ferree e alti standard qualitativi, scegliendo con cura le materie prime a volte anche a scapito del prezzo concorrenziale di competitor stranieri.

Spero vivamente che questo Virus abbia portato un po’ di consapevolezza in tutti noi, un pochino di più di apertura mentale, per capire che a volte quello che abbiamo in casa va protetto e valorizzato.

Quindi noi di Mangify diremo sempre acquista il made in Italy, acquista prodotti di piccoli imprenditori, e torna ad acquistare nelle piccole botteghe.

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Con tre Click sei on-line

Proprio così: mentre il mondo fuori cercava di capire la reale situazione, all’improvviso il mondo della tecnologia incalzava, come se fossero già tutti pronti a illudere i commercianti che il mondo on-line avesse il potere di non spegnere le loro attività.

Ottima idea, non biasimo nessuno, chi ha questa opportunità lo faccia pure, ma siamo realisti, e con i piedi per terra: solo il fatto di essere online non fa diventare tutti come Amazon.

Mi fa rabbia questa situazione, e un po’ paura, a dire il vero. Mi fa paura come in un’attimo, siano fiorite sponsorizzate così impattanti sulla facilità del mondo online, illudendo i commercianti e portandoli a credere che fosse la soluzione per non chiudere le loro attività.

Se in parte può essere vero, credo che sia sconcertante come in un attimo le informazioni possano distorcere la realtà.

“La vendita online è il futuro”, e così ecco che scoppiano le offerte per la creazione di siti e app, “non è tutto finito  crea la tua app con lo  sconto del 50%” ,  “ porta online la tua attività crea il tuo sito professionale, ti aiutiamo noi”, contattaci avrai un sito online subito pronto per vendere , completamente gratuito” .

Queste frasi e tante altre ho visto tra le pagine social, e mentre scorrevo queste inserzioni, mi chiedevo: sarà tutto vero ?

Forse si forse no. Certo è che per un’attività che nasce online come Mangify, e con l’investimento fatto, sembra impensabile questa corsa alla vendita online come albero della cuccagna.

Fino a quando ti chiamano e ti chiedono “mi piacciono i prodotti di Mangify, mi fai da fornitore”, ovviamente non si dice mai di no a una potenziale vendita, ma per serietà delle aziende che forniscono Mangify, faccio domande di rito.

Che tipo di attività svolgi ? Da quanto sei nel mondo del food, hai un negozio, hai un magazzino, il tuo sito come si chiama, hai la SCIA (segnalazione di inizio attività), hai il SAB (corso di somministrazione alimenti e bevande)?

Le risposte sono svariate, e se da parte mia c’è solidarietà assoluta per queste persone, molte delle quali hanno dovuto chiudere la loro attività principale durante il lock-down, trovo incredibile che la risposta possa essere seguire il trend del momento,  ovvero aprire un sito internet per rivendere prodotti alimentari.

Fate attenzione: le informazioni sono completamente fuori controllo, e le persone che si illudono sono veramente tante. Aprire un’attività online non è un alternativa del momento, è complesso, ha molti rischi e molti costi, deve essere una scelta ponderata e principale, non alternativa e momentanea.

Io sono ben contenta che lo scenario si allarghi anche di tanta concorrenza, perché vorrà dire ripartire e far ripartire questa economia così provata, ma vorrei far riflettere tutte quelle persone che si avvicinano a questo mondo: non è facile e immediato come dicono, tutto ha un costo, perché se è vero che non si ha affitto da pagare, bollette ecc… gli stessi soldi li devi spendere in brand identity, che è l’insegna del tuo negozio online, marketing e nuovi progetti che permettano alle persone di conoscerti, e sempre più difficile, di fidarsi di te e del tuo prodotto.

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60 giorni in casa: tiriamo le somme di questa esperienza COVID-19

Non ci posso credere, eppure è successo, una vera catastrofe chiamata COVID-19.

Non mi sarei mai aspettata di vivere questa situazione: nella confusione più totale e improvvisa,  mentre la sottoscritta si barricava in casa senza esitare il mondo fuori urlava “non potete chiuderci in casa”, “finché il Virus non uccide un ragazzo  di 20 anni io continuo a fare la mia vita”, “mi state privando della mia libertà”.

Frasi forti di tutti i tipi scorrevano tra i post dei vari social: il mio sconforto più totale derivava dal vedere che le persone erano più impegnate a criticare e a sottovalutare la situazione, che a fermarsi a riflettere e capirne la drammaticità reale.

Non dimenticherò mai quei camion dell’esercito che da Bergamo portavano via i corpi di persone senza nome e cognome, senza nemmeno il conforto e la dignità di un ultimo saluto.

Il mio sconforto più totale ogni giorno cresceva, fino alla notizia della mia famiglia colpita da Covid-19: ho vissuto attimi di panico e preoccupazioni suggestionata da quello che avevo visto in TV, il non poter essere di aiuto per nessuno, di sentirti impotente e allo stesso tempo fragile.

Ho pensato alle cose più brutte, ma fortunatamente tutto si è svolto nel migliore dei modi, e allora si continua ad andare avanti, e ora c’è il il capitolo del lavoro, che come per tutti è stata la parte più dolorosa da affrontare.

Non basta chiudersi in casa quindici giorni, un mese, due mesi, il virus rimane, continua a fare vittime, non solo nell’aspetto sanitario del problema, anche e soprattutto in forma economica: tante aziende a rischio chiusura, le attività commerciali in continua incertezza perché in Italia i piccoli imprenditori sono quelli più tartassati , oggi nessuno sa se questo stop forzato continuerà, le incertezze incalzano ,  lo sgomento di tutti quanti noi continua a invadere la nostra vita con dei punti interrogativi. Quando riaprirò? Come farò? Quando riaprò, come posso mettere il locale in sicurezza, e chi paga la messa in sicurezza ? Chi  mi paga le tasse? Ma i 600 euro che fine hanno fatto? Arriveranno aiuti dallo Stato ? Queste e tante altre domande continuano a ruota libera, perché se dal governo continuano a piovere i divieti, non ci può essere il divieto alla vita e al lavoro.

E quindi si riprende in mano la propria vita e il proprio lavoro, si impara a convivere con il virus, e si mettono in campo tutte le nuove soluzioni che si possono trovare per ridare dignità e significato alle proprie giornate, sia che si vada al lavoro con guanti e mascherina, sia che si lavori da casa in smart-working.

Lo si fa con attenzione e in sicurezza, con rispetto delle regole e del distanziamento, ma rimboccandosi le maniche e inventandosi nuove soluzioni che siano di nuova utilità per i propri clienti, per i propri dipendenti e alla fine per tutta popolazione italiana. E noi accettiamo la sfida.

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Birra Artigianale : quali sono le differenze con quelle industriali?

È meglio la birra artigianale o la birra industriale?

Tante sono le volte in cui abbiamo sentito questa domanda e altrettante quelle in cui si sono palesati difensori dell’una o dell’altra bionda.

La risposta è: dipende. Dal gusto, dall’occasione, da ciò che si sta cercando. Ma ci sono differenze sostanziali che bisogna conoscere, quanto meno per fare una scelta di consumo consapevole.

Cosa vuol dire birra artigianale in Italia

Fino al 2015, in Italia, il termine artigianale non era legalmente riconosciuto e tutelato, e agli stessi produttori era vietato apporre tale dicitura in etichetta. Solo a partire dal 2016 il Senato ha approvato la proposta di legge che ha sancito il significato legale di birra artigianale italiana:

“Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”.

La legge specifica con esattezza alcuni parametri che ci permettono di distinguere una birra artigianale, da una invece di produzione industriale. Facciamo un po’ di chiarezza.

Birra artigianale e birra industriale: le differenze principali

Che cos’è la pastorizzazione?

La pastorizzazione è un processo di risanamento termico che permette di stanare i microrganismi potenzialmente patogeni come batteri, funghi e, nel caso della birra, lieviti. È una tecnica che garantisce l’assenza di infezioni da una parte, ma per contro omologa le caratteristiche organolettiche del prodotto.

Le industrie che utilizzano questo procedimento in catena produttiva garantiscono al consumatore finale un prodotto con tempi di conservazione più lunghi, ma anche gusto sempre uguale a se stesso e invariabile nel tempo.

Al contrario, la birra artigianale viene definita “cruda o viva” poiché, tramite la rifermentazione in fusto o in bottiglia, i lieviti continuano a lavorare preservando sapori e profumi del prodotto, oltre a renderlo differente a seconda del lotto di produzione e adatto, per certi stili di birra, a un affinamento nel tempo, come accade per il buon vino.

Cosa significa microfiltrazione

Parliamo di microfiltrazione quando il prodotto viene filtrato mediante apposite membrane che trattengono organismi potenzialmente patogeni. Rispetto alla pastorizzazione, che stermina i batteri con le alte temperature, è un processo meno invasivo, ma comunque distruttivo. Viene utilizzato in fase produttiva soprattutto per chiarificare il prodotto: ecco perché le birre industriali sono limpide e non è presente il sedimento naturale sul fondo della bottiglia, mentre le artigianali possono apparire più torbide.

Perché la birra artigianale costa di più

I microbirrifici, non a caso chiamati tali, rappresentano il 2-3% della produzione brassicola italiana totale, e i 200mila ettolitri annui sanciti dalla legge sono un obiettivo davvero ottimista per i più. Rapportate a quelle dei famosi marchi nazionali, sono cifre pressoché insignificanti, ma non se parliamo di costi.

Volumi così ridotti incidono sul costo delle materie prime e, di conseguenza, su quello del prodotto finito. I piccoli produttori non rinunciano a ingredienti di qualità per rendere uniche e riconoscibili le proprie birre, ancora di più se si tratta di birre biologiche come la “Rivincita” del birrificio Zuker; le industrie, lavorando su volumi ben diversi, abbattono i costi acquistando grandi quantità di materie prime e, a volte, utilizzando dei succedanei – il malto, in alcuni casi, può essere sostituito con tot percentuale di mais, molto più economico -, o dei concentrati con potere produttivo più efficace.

Inoltre, la birra artigianale si caratterizza anche per l’impiego di ingredienti diversi, come spezie, frutta, cacao o, nel caso della “2milapiedi” di Birra Carrù, mosto d’uva Moscato, che ne determinano l’unicità, il valore, il quid organolettico, ma anche un ulteriore rincaro finale.

A incidere sul prezzo a scaffale sono poi le accise, ovvero la tassazione imposta sulla quantità di mosto fermentescibile. Parliamo di circa 37€ per ettolitro circa che, per un microbirrificio medio in cui lavorano da 1 a 3 persone, costituiscono un costo non indifferente, anche considerando che, in Italia, la birra è l’unica bevanda alcolica da pasto a essere tassata; per il vino l’accisa è a zero.

Artigianale o industriale: quale scegliere?

Come già accennato, la birra industriale è omologata per uno scopo ben preciso: conquistare una buona fetta di mercato assicurando un prodotto standard nel tempo e per ogni acquisto. Esistono edizioni speciali, linee di produzione nuove dettate dalle esigenze del mercato, ma in generale si garantisce al consumatore un prodotto sicuro da scegliere e che non riservi sorprese in termini di gusto o tempi di conservazione.

La birra artigianale è l’esatto contrario. Naturalmente, un mastro birraio ha un certo tipo di costanza per le proprie ricette, ma, pur essendo la stessa birra, ci sono sfumature organolettiche diverse da un lotto di produzione a un altro. Non manca poi la sperimentazione, la passione nel ricercare ingredienti diversi e combinarli con equilibrio per realizzare ricette che creino attesa e stupore nel consumatore. La birra artigianale è un’idea che diventa il sorso in cui c’è sempre da aspettarsi qualcosa di nuovo.

Accade così anche per “la Pils della Graziella” del Birrificio Gritz che produce birre senza glutine per permettere ai celiaci e agli intolleranti di poter gustare una birra di qualità.

 

Ecco perché dipende. C’è una birra migliore a seconda di ciò che il consumatore cerca, ma non in assoluto. Coloro che amano un certo tipo di gusto, la birra ghiacciata e la poca schiuma preferiranno una produzione più industriale e sicura, mentre coloro che amano ricercare sapori nuovi, particolari e da degustare sceglieranno una birra artigianale, nonostante i costi meno economici.

 

Noi di Mangify selezioniamo le migliori birre italiane, quelle che ci conquistano fin dal primo assaggio e non vediamo l’ora di farti conoscere.

Raggiungiamo i microbirrifici, uno per uno, per incontrare di persona i mastri birrai e abbracciare i valori in cui credono; toccare con mano le materie prime e comprendere le peculiarità di ciò che riempie il nostro bicchiere. Solo così possiamo darti la certezza di poter reperire un prodotto di qualità, unico.

Bionde, rosse, con mosto d’uva Moscato, biologiche o birre senza glutine? Scoprile subito tutte!

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Progettare qualità: come nasce Mangify

Sono nel campo alimentare da sempre, lavorativamente sono nata nell’azienda di panificazione dei miei genitori che mi hanno trasmesso la dedizione verso il lavoro e per il sacrificio come loro hanno fatto per una vita.

Sono limpidi i ricordi della scia per strada che lasciava il profumo di pane quando al mattino andavo a scuola, e quei ricordi ancora impressi ora si sono trasformati in bagaglio di esperienza fatti di sacrifici, fallimenti e soddisfazioni, tutto fa parte di quello che è la vita.

Come molti italiani miei coetanei, ero in cerca di una posizione lavorativa, non volevo buttare via tutta la mia esperienza, ma per il mondo del lavoro di oggi sembrava essere poco rilevante.

Per orgoglio personale non potevo continuare a coprire posizioni che non rispecchiavano la mia personalità, così ho rivalutato le mie esperienze di questi ultimi anni come agente di commercio.

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